Per la Cassazione il tardivo versamento delle accise è sanzionato con l’indennità di mora di cui all’art. 3, c. 4, del d.lgs. 504/1995, non con la sanzione di cui all’art. 13, c. 1, del d.lgs. 471/1997.
Con la sentenza 30034/2018 la Corte di Cassazione, contrapponendosi con un’articolata motivazione al proprio consolidato orientamento, ha accolto la tesi, difesa dal prof. Giuseppe Zizzo, della non cumulabilità della sanzione di cui all’art. 13, c. 1, del d.lgs. 471/1997 con l’indennità di mora di cui all’art. 3, c. 4, del d.lgs. 504/1995.
Per detto orientamento il cumulo sarebbe giustificato dal fatto che la seconda, a differenza della prima, non avrebbe funzione afflittiva bensì riparatoria dell’equilibrio patrimoniale leso dal ritardato adempimento dell’obbligazione tributaria.
Per la sentenza considerata invece, “avuto riguardo alla struttura e al contenuto dell’indennità di mora di cui al comma 4 dell’art. 3 cit., emergono degli indubbi indici a favore della natura sanzionatoria della stessa”. Invero, il suo ammontare “non è commisurato all’entità del ritardo nell’inadempimento”, e “non dipende dalla prova dell’entità del danno effettivo risentito dall’erario per il ritardo dell’adempimento”. Inoltre, il legislatore “ha già previsto, peraltro all’interno della medesima disposizione di cui al comma 4 dell’art. 3 cit., l’assolvimento della funzione risarcitoria attraverso il pagamento degli interessi moratori”.
La natura afflittiva dell’indennità di mora e il carattere speciale dell’art. 3, c. 4, del d.lgs. 504/1995 determinano l’inapplicabilità al tardivo versamento delle accise della sanzione, di carattere generale, di cui all’art. 13, c. 1, del d.lgs. 471/1997. La Corte, nel formularla, evidenzia come questa soluzione sia avvalorata dalla sua conformità “ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità”.
Non essendo necessarie ulteriori indagini in fatto, la Corte ha deciso nel merito. Tuttavia, nel dispositivo ha dichiarato, in contrasto con la motivazione, di respingere, anziché accogliere, il ricorso di primo grado proposto dalla società contribuente. Su istanza di quest’ultima, con l’ordinanza 779/2019 l’errore è stato corretto.
Leggi la sentenza Cass. civ., sez. V, n. 30034 del 2018