Venerdì scorso, nella relazione sulla stabile organizzazione virtuale tenuta al 37° Congresso Nazionale A.N.T.I. ho evidenziato come il tema possa essere trattato in due prospettive, quella internazionale e quella nazionale.
Nella prospettiva internazionale occorre confrontarsi con l’Action 1 BEPS (Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy), di fonte OCSE/G20, e i documenti che ne sono lo sviluppo, da un lato, con la proposta di direttiva 147 del 2018, formulata dalla Commissione europea (norme sulla tassazione delle imprese che hanno una presenza digitale significativa), dall’altro.
La questione con cui questi documenti si misurano è tra le più sfidanti della fiscalità contemporanea, quella della crisi della nozione di stabile organizzazione (quale criterio di collegamento al territorio di uno stato diverso da quello di residenza dei redditi di un’impresa), prodotta dalla progressiva digitalizzazione dell’economia, e dalla connessa continua espansione degli scambi di beni e servizi, spesso dematerializzati, realizzati da remoto.
Le soluzioni che offrono, pur non collimando pienamente, convergono verso un modello unitario: l’affiancamento al criterio di collegamento della stabile organizzazione, centrato sulla presenza fisica (una sede fissa di affari, l’agente dipendente) dell’impresa non residente, di un criterio nuovo (più che di una variante della stabile organizzazione), denominato presenza economica significativa nell’Action 1, presenza digitale significativa nella proposta di direttiva, ma comunque qualificato dalla collocazione geografica dei clienti e degli utenti.
Nella prospettiva nazionale occorre invece confrontarsi con la lett. f-bis dell’art. 162 del TUIR, introdotta dalla legge di bilancio per il 2018, insieme ad un pacchetto di misure anti-elusione in materia di stabile organizzazione riprese dall’Action 7 BEPS (Preventing Artificial Avoidance of the Permanent Establishment Status).
In questa disposizione si ritrova infatti l’espressione presenza economica significativa utilizzata nell’Action 1. La continuità con l’Action 1 è però solo apparente. Non solo difetta qualsiasi riferimento alla matrice digitale (e non fisica) di detta presenza (matrice digitale che caratterizza quella delineata dall’Action 1), ma la stessa sembra essere addirittura esclusa, da un lato, dalla collocazione della fattispecie nella casistica (positive list) della stabile organizzazione materiale, dall’altro, dalla specificazione che la stessa deve essere “costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio”. È evidente che per le imprese dell’economia digitale l’operatività da remoto è connaturata al modello di attività, non espressione di una “costruzione” a fini di riduzione del prelievo. Questi elementi inducono a negare che la previsione abbia la funzione di fissare un criterio di collegamento autonomo, tarato sull’economa digitale, come quello ipotizzato dall’Action 1 o dalla proposta di direttiva, e ad attribuire alla stessa una funzione anti-evasiva o anti-elusiva, comunque a salvaguardia della figura della stabile organizzazione materiale. Un ruolo assai modesto, pertanto, posto che, per la repressione dei fenomeni di evasione (mediante occultamento degli elementi costitutivi della stabile organizzazione presenti nel territorio dello stato), non è ovviamente necessaria alcuna apposita disposizione, mentre il contrasto a quelli di elusione (mediante la creazione di strutture prive di sostanza economica fonte di vantaggi fiscali indebiti) è ampiamente presidiato dalla clausola generale di cui all’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente.
In conclusione, se nella prospettiva internazionale la stabile organizzazione virtuale guarda al futuro, in quella nazionale sembra ancora rivolta al passato, lasciando, come le notizie delle indagini su Netflix pubblicate in questi giorni confermano, alla via giudiziaria la risposta ai problemi che ne hanno sollecitato l’elaborazione in sede internazionale.
Giuseppe Zizzo