Con sentenza n. 251/19, la Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia, a quanto ci consta per la prima volta, ha esteso le conclusioni raggiunte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 15/2018 in materia di Imposta Comunale sulla Pubblicità (ICP) al Canone per l’Installazione dei Mezzi Pubblicitari (CIMP).
La questione attiene alla commisurazione delle due tariffe.
Le tariffe ordinarie dell’Imposta Comunale sulla Pubblicità (ICP) sono individuate dall’art. 12 del d.lgs. 507/1993.
L’art. 11, c. 10, della l. 449/1997 ha autorizzato i Comuni ad incrementare le stesse “fino a un massimo del 50 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2000”.
Questa previsione è stata abrogata, a decorrere dal 26 giugno 2012, dall’art. 23, c. 7, del d.l. 83/2012.
Infine, l’art. 1, c. 739, della l. 208/2015 è intervenuto a chiarire che l’art. 23, c. 7, del d.l. 83/2012, “si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012”.
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’asserito contrasto di questa ultima norma con numerosi principi costituzionali, ha affermato che, a decorrere dal 26 giugno 2012, data di entrata in vigore dell’art. 23, c. 7, del d.l. 83/2012, non solo non è più possibile, per i Comuni che non l’avessero fatto prima, incrementare le tariffe stabilite all’art. 12 del d.lgs. 507/1993, ma non è nemmeno più possibile, per i Comuni che avessero già deliberato le maggiorazioni, tenerle ferme, sostenendo l’“ultrattività” delle stesse. Ha invero rilevato che “La disposizione … si limita a precisare la salvezza degli aumenti deliberati al 26 giugno 2012 … Nulla dice il comma 739, invece, sulla possibilità di confermare o prorogare, successivamente al 2012, di anno in anno, le tariffe maggiorate. Tale facoltà di conferma, esplicita o tacita, delle tariffe, consentita da altra disposizione, non potrebbe tuttavia estendersi a maggiorazioni disposte da norme non più vigenti” (sentenza n. 15/2018).
A seguito della pronuncia della Corte, e delle numerose istanze di rimborso presentate dai contribuenti, è da ultimo intervenuto il legislatore, prevedendo all’art. 1, c. 917, della l. 145/2018 (legge di bilancio 2019) la possibilità dei Comuni, in deroga alle norme vigenti, di rimborsare le somme indebitamente riscosse a titolo di maggiorazione dell’ICP per gli anni dal 2013 al 2018 “in forma rateale entro cinque anni dalla data in cui la richiesta del contribuente è diventata definitiva”.
Nonostante le resistenze opposte da alcuni Comuni, in materia di ICP può dunque darsi per acquisito il diritto dei contribuenti ad ottenere il rimborso di quanto versato tra il 2013 ed il 2018 in ragione delle maggiorazioni d’imposta applicate ex art. 11, c. 10, della l. 449/1997.
Il problema affrontato dalla Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia è se la suddetta conclusione sia estensibile anche al CIMP.
L’art. 62 del d.lgs. 446/1997 ha infatti introdotto la possibilità per i comuni, in sostituzione dell’ICP, di sottoporre “le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa” (appunto, CIMP). Quanto alla misura del prelievo, il c. 2, lett. d), della disposizione lega la tariffa del CIMP a quella dell’ICP, prevedendo che la stessa sia determinata “con criteri di ragionevolezza e gradualità … in modo che detta tariffa, comprensiva dell’eventuale uso di aree comunali, non ecceda di oltre il 25 per cento le tariffe stabilite … per l’imposta comunale sulla pubblicità … deliberate dall’amministrazione comunale nell’anno solare antecedente l’adozione della delibera di sostituzione dell’imposta comunale sulla pubblicità con il canone”.
Il riferimento alle tariffe ICP “deliberate dall’amministrazione comunale nell’anno solare antecedente l’adozione della delibera di sostituzione dell’imposta comunale sulla pubblicità con il canone”, tariffe che ben potevano risultare maggiorate ex art. 11, c. 10, della l. 449/1997, potrebbe indurre a ritenere che la sentenza n. 15/2018 non spieghi effetti sul CIMP, rimanendo le tariffe di questo, una volta introdotto, impermeabili alle vicende occorse alle tariffe dell’ICP.
Ragioni di coerenza del sistema inducono, tuttavia, a optare per la soluzione opposta, come correttamente concluso dalla Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia.
La Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla natura del CIMP, ha infatti rilevato “l’evidente continuità” tra il canone e l’ICP, evidenziando come “Un primo elemento di sicura analogia attiene all’oggetto dei suddetti due prelievi … Appare particolarmente significativo, al riguardo, che la tariffa del CIMP sia parametrata a quella dell’imposta, nel senso che la prima non può superare di più di un quarto la seconda”, per concludere che “Le sopra indicate caratteristiche strutturali e funzionali del CIMP, desumibili dalla sua complessiva disciplina, rendono evidente, dunque, che tale prelievo … costituisce una mera variante dell’imposta comunale sulla pubblicità e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima” (sentenza n. 141/2009).
Ebbene, se ICP e CIMP insistono sul medesimo presupposto e condividono la stessa natura, un sistema in cui il medesimo indice di contribuzione venisse colpito in maniera nettamente differente (in misura sino al 50% superiore in caso di sostituzione dell’ICP con il CIMP) difficilmente potrebbe sottrarsi ad un giudizio di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione: a parità di presupposto, e dunque di capacità di concorrere, la contribuzione varierebbe in funzione di un elemento – la configurazione del prelievo quale ICP o CIMP – del tutto inidoneo, per quanto rilevato dalla Corte Costituzionale, ad esprimere una diversa attitudine del contribuente a partecipare alle spese pubbliche.
Chiara Sozzi