Nel corso del convegno organizzato da Paradigma Srl su “La fiscalità dei soggetti IAS/IFRS” ho, tra l’altro, trattato dei poteri dell’Amministrazione finanziaria al cospetto di voci di bilancio espressive di scelte discrezionali riservate dagli IAS/IFRS ai suoi estensori.
Il rinvio ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dagli IAS/IFRS stabilito dall’art. 83 del TUIR implica che le relative regole contabili integrino quelle fiscali, e, di riflesso, che all’Amministrazione finanziaria spetti la verifica sulla osservanza non solo delle seconde, ma anche delle prime, sia sotto il profilo della loro corretta interpretazione sia sotto quello della loro corretta applicazione.
Tuttavia, poiché all’Amministrazione finanziaria non spetta riscrivere (anche se solo ai fini della determinazione dell’imponibile) le voci di bilancio, sostituendosi ai suoi estensori nella loro identificazione e definizione, maggiore è la elasticità delle regole contabili, maggiori sono, cioè, i margini di azione che consegnano agli estensori del bilancio, più ampia risulta la cerchia delle soluzioni compatibili con le regole medesime, e minore lo spazio a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per un intervento in rettifica, dovendo la stessa dimostrare, per affermare che la loro applicazione non è avvenuta correttamente, che, alla luce delle informazioni e conoscenze acquisite o acquisibili (se avessero fatto uso dell’ordinaria diligenza) dagli estensori del bilancio al momento della sua predisposizione, la soluzione contabile adottata non è collocabile all’interno della predetta cerchia.
Nella circolare 7 del 2011, l’Agenzia delle Entrate ha avvertito che, “qualora i principi contabili internazionali consentano di effettuare scelte meramente discrezionali senza prevedere un criterio direttivo, l’Amministrazione finanziaria potrà sindacare le opzioni adottate che, sulla base di specifici fatti e circostanze, risultino finalizzate al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali”.
È indubbio che, se, e nella misura in cui, alle regole contabili si attribuisce (anche) il ruolo di regole fiscali, il contrasto con le loro finalità configura quel contrasto con le finalità delle norme fiscali che consente di qualificare i vantaggi fiscali come indebiti ai sensi della clausola antiabuso di cui all’art. 10-bis della l. 212/2000.
È altrettanto indubbio, però, che, quando la normativa tributaria rinvia a quella contabile, e quest’ultima offre la possibilità di scegliere tra soluzioni diverse, con implicazioni diverse sul piano impositivo, la scelta di quella fiscalmente più conveniente (a prescindere dalle ragioni per le quali è stata in concreto effettuata) non può, di per sé, connotare i risparmi ottenuti come indebiti. Ed invero, nel momento in cui rinvia alla normativa contabile, quella tributaria inevitabilmente assume come propria la possibilità di scegliere tra le diverse soluzioni che la prima offre. L’opzione contabile diventa opzione fiscale, e l’opzione fiscale, per definizione, può connettersi anche soltanto (anzi, tipicamente si connette unicamente) a logiche di risparmio d’imposta.