I criteri di collegamento tra Stati e redditi nel futuro dell’imposizione

by zizzo

Pubblichiamo il testo della relazione sui criteri di collegamento tra Stati e redditi nel futuro dell’imposizione, tenuta dal prof. Zizzo alla conferenza inaugurale del Comitato Giovani dell’A.N.T.I. – Sezione Lombardia, tenutasi a Milano il 6 febbraio.

Tassazione mondiale o tassazione territoriale: i criteri di collegamento nel futuro dell’imposizione

Sono ormai cento anni, dagli anni venti del secolo scorso, che l’imposizione sui redditi è dominata dalla convivenza e dalla concorrenza di due criteri di collegamento tra Stati e redditi, entrambi, indubbiamente e, stante la fase storica in cui sono stati oggetto di elaborazione, inevitabilmente, proiezione di una visione rigorosamente nazionalista. Un criterio di stampo soggettivo, la residenza, implicante una tassazione su base mondiale, ed uno di stampo oggettivo, la fonte, implicante una tassazione su base territoriale.

La fissazione del punto di equilibrio fra questi criteri, quando operanti in contrapposizione, è stata tipicamente affidata alle convenzioni contro le doppie imposizioni, e al loro interno, quanto, in particolare, ai redditi delle imprese, a due strumenti: la stabile organizzazione, quale condizione per la loro imposizione in uno Stato diverso da quello della residenza, e il transfer pricing, quale parametro per la loro ripartizione tra le unità dell’impresa (soggettivizzate o meno) distribuite in Stati diversi.

Entrambi i suddetti criteri sono entrati in forte crisi con la globalizzazione dell’economia prima e la sua digitalizzazione poi. Si sente con frequenza parlare di disappearing taxpayer e di stateless income.

Quanto al criterio della residenza:

  1. per il disarticolarsi delle imprese multinazionali in una rete di soggetti dotati di autonoma personalità giuridica, ciascuno affidatario di un diverso segmento della loro attività (direzione e coordinamento, finanza, ricerca e sviluppo, marketing, produzione, commercializzazione ecc.), e residente nello Stato in grado di offrire il regime fiscale più attraente per il segmento affidato;
  2. per le difficoltà applicative connesse alla scelta del criterio del place of effective management quale criterio per imputare la residenza di una società nei casi di doppia residenza sulla base delle legislazioni nazionali.

Quanto al criterio della fonte:

  1. per il disallineamento tra Stati in cui si crea il valore, tipicamente Stati ad elevata tassazione, e quelli in cui i connessi flussi di reddito sono dichiarati, tipicamente Stati a bassa o nulla tassazione;
  2. per le difficoltà che si riscontrano nel collocare la creazione del valore, e dunque nell’individuare lo Stato della fonte, in particolare con riferimento allo sfruttamento dei beni immateriali e alle attività dematerializzate dell’economia digitale.

Il decennio che si è appena chiuso è stato connotato non solo da una diffusa presa di coscienza di questi fenomeni, ma anche da un forte impegno nello sviluppo di contromisure e quindi nella definizione degli scenari all’interno dei quali verosimilmente si muoverà l’imposizione sui redditi nel prossimo futuro.

Il quadro che si è venuto delineando è però assai composito. All’apertura verso un modello cooperativo, che segna il progetto BEPS, portato avanti dall’OCSE e dal G20, e le proposte formulate in sede comunitaria, si contrappone il rilancio del modello nazionalista che connota negli Stati Uniti la riforma Trump. “America first” è infatti lo slogan a cui si appella.

Il progetto BEPS è portatore di una grande novità. È l’espressione dell’impegno collettivo di un elevato numero di Stati, gli Stati membri dell’OCSE e quelli aderenti al G20, nella consapevolezza che i temi sopra rappresentati, proprio perché in buona misura dovuti al difetto di coordinamento tra i diversi ordinamenti, non possano essere affrontati efficacemente in via unilaterale o in via bilaterale (mediante le suddette convenzioni), ma richiedano la più ampia condivisione. Il fronte comune del maggior numero di Stati. Questa matrice ne è il punto di forza, ma anche probabilmente quello di debolezza. Nonostante l’ampiezza degli interventi raccomandati, e la novità degli strumenti messi in campo (si pensi alla convenzione multilaterale siglata nel 2017) dei tre ambiti istituzionali sopra richiamati appare il meno innovativo. Resta infatti agganciato ai suddetti criteri di collegamento, proponendone un più o meno significativo restyling al fine di superare le criticità evidenziate.

Solo per dare un’idea, quanto al criterio della residenza:

  1. sul primo punto, propone un rafforzamento delle normative CFC;
  2. sul secondo, la cancellazione del criterio del place of effective management, e la devoluzione alla negoziazione tra gli Stati interessati della soluzione dei casi di doppia residenza.

Quanto al criterio della fonte propone una serie di interventi sulla disciplina del transfer pricing e sulla definizione di stabile organizzazione, in particolare ipotizzando di affiancare alle conosciute figure della stabile organizzazione materiale e personale, per come revisionate dal progetto, quella della “presenza economica significativa”.

Il tentativo di ritarare, fors’anche con qualche forzatura, i criteri di localizzazione dei redditi, riallineando creazione del valore e flussi di reddito, esperito con il progetto BEPS, inevitabilmente si traduce in un potenziamento del criterio della fonte, e di riflesso in una riduzione dei margini di operatività di quello, a carattere residuale, della residenza. Di fatto, esso sposta il punto di equilibrio tra i due criteri a vantaggio del criterio della fonte e a discapito di quello della residenza.

Questa circostanza spiega l’avversità degli Stati Uniti alle soluzioni avanzate nell’ambito di detto progetto. Con la riforma Trump approvata alla fine del 2017, gli Stati Uniti hanno tracciato un percorso diverso al confronto con le criticità descritte, maggiormente sensibile alle istanze del criterio della residenza.

Tra le diverse misure adottate (tra le quali un significativo abbattimento dell’aliquota dell’imposta sulle società ed una agevolazione, sotto forma di ulteriore riduzione di aliquota per i redditi tratti dall’esportazione di beni e servizi, denominata Foreign Derived Intagible Income), spicca, per quel che qui rileva, il Global Intangible Low Tax Income (GILTI), che attrae a tassazione negli Stati Uniti, in capo alla controllante residente, e con un’aliquota ridotta, i redditi di tutte le controllate non residenti, quale che sia il livello di tassazione presente nel loro Stato di residenza, per la parte eccedente la remunerazione ordinaria (fissata al 10%) del valore (non ammortizzato) dei beni materiali utilizzati, assicurando comunque un credito d’imposta pari all’80% delle imposte assolte all’estero dalle stesse.

Si tratta di una estremizzazione della normativa CFC, che, unitamente al rifiuto del riassetto proposto dal progetto BEPS, consente agli Stati Uniti di contenere l’impatto dei processi di delocalizzazione attuati dalle proprie imprese multinazionali.

Spicca inoltre la Base Erosion Anti-Abuse Tax (BEAT), una minimum tax che scatta, per la differenza, laddove l’imposta ordinaria sia inferiore al 10% del reddito della società residente al lordo dei pagamenti effettuati a favore di controllate non residenti, in particolare dei pagamenti per servizi ricevuti, utilizzo di beni immateriali e l’acquisto di beni ammortizzabili.

Mentre gli Stati Uniti si sono sfilati dal progetto BEPS, gli Stati dell’Unione Europea hanno attivamente contribuito alla sua costruzione e ne hanno generalmente recepito le indicazioni, ovviamente quando non incompatibili con i principi fondamentali del diritto dell’Unione, anche mediante l’adozione di apposite direttive (ATAD 1 e ATAD 2).

L’Unione Europea potrebbe però diventare il laboratorio per la sperimentazione di un meccanismo impositivo nuovo per le imprese multinazionali, che trascende il tradizionale separate entity approach e ne risolve gli inconvenienti, e che perciò compare molto frequentemente nel dibattito sulle ipotesi di riforma della tassazione di dette imprese.

Si tratta della Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB), oggetto di una prima proposta di direttiva nel 2011 e di una seconda nel 2016. Nel 2016 in combinazione con la proposta di direttiva relativa alla Common Corporate Tax Base (CCTB). La proposta, in estrema sintesi, muovendo dall’unità economica dell’impresa multinazionale, assume come fiscalmente rilevante il suo reddito complessivo (ovviamente, a livello europeo), per ripartirlo tra gli Stati membri, ciascuno dei quali è libero di stabilire l’aliquota da applicare alla quota di propria pertinenza, sulla base di una formula basata su una serie fattori ritenuti espressivi di un legame con il loro territorio, come le vendite, gli occupati, i beni materiali e, in prospettiva, anche i valori immateriali che caratterizzano le attività dell’economia digitale.

Questo meccanismo, se stenta ad affermarsi a livello europeo, molto difficilmente potrà trovare uno sbocco a livello internazionale. L’interesse che lo circonda fornisce però due conferme.

Conferma la crisi della dicotomia residenza/fonte, e del modello nazionalista, che ha segnato l’ultimo secolo dell’imposizione sui redditi.

E conferma la tendenza alla marginalizzazione del criterio della residenza. Si discute se gli indicatori ai quali si riferisce detta formula di allocazione siano, in effetti, sempre puntati verso la fonte dei redditi, quel che è certo, tuttavia, è che il criterio della residenza perde con essi ogni capacità di aggregare materia imponibile.

Giuseppe Zizzo

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